Nella prima metà dell’Ottocento i vetrai muranesi vivono il periodo più difficile della loro storia produttiva.
Una delle strategie poste in atto per uscire dalla crisi è lo studio e la riscoperta di tecniche antiche, adattandole ai gusti del tempo. Tra esse, la produzione del vetro murrino, nota in epoca romana e applicata dai veneziani nel XV secolo, viene ripresa e attualizzata.
Si ottiene dall’accostamento a freddo di tessere e/o sezioni di canne di vetro di forme e colori diversi per formare il disegno voluto, poi compattato a caldo con un effetto di mosaico policromo. Nella rivisitazione di questa tecnica, i maestri ottocenteschi inseriscono l’uso della canna millefiori, formata da strati concentrici di vetro di colori diversi, di cui quelli interni sono a forma di stella grazie all’utilizzo di appositi stampi. Una volta compattati gli strati a caldo, la canna viene allungata (in gergo “tirata”) e poi , da fredda, tagliata in segmenti cilindrici, le murrine, che vengono inglobate negli oggetti lavorati all’antica o anche soffiati con ulteriori procedimenti.
Se a Vincenzo Moretti (1835-1901) sono dovuti i più significativi esemplari di oggetti realizzati con questa tecnica, Giovanni Battista Franchini (1804-1873) inventa canne millefiori sempre più sottili e complesse, con disegni diversi dalla tradizionale stella, con le quali il figlio Giacomo si specializza nella realizzazione di stupefacenti ritratti miniaturizzati, perlopiù dedicati a personaggi celebri dell’epoca (Garibaldi, il papa Pio IX, l’imperatore Francesco Giuseppe ecc). Un lavoro virtuosistico e faticosissimo che mette alla prova Giacomo fino a farlo impazzire: è così che il padre nel 1869 viene premiato a Murano, quasi per risarcirlo “che alla stupenda invenzione dei ritratti in cannella deve la perdita quasi irreparabile d’un figlio…”